Articolo a cura di Ivano Antonini-EnoCentrico.
Ci si convince, dopo qualche anno passato ad assaggiare e a degustare, a imparare che nel mondo dell’enologia non bisogna mai dare nulla per scontato. Nulla appare per ciò che sembra, perché se ti azzardi solo per un attimo, per esempio a farti una certa idea su un determinato vino in una specifica annata, ecco che rischi di trovarti spiazzato. Con la conseguenza di sbattere poi la testa quando poi ti siedi ad assaggiarlo e trovare che non era così come l’avevi disegnata.
Ma è anche vero che se nutri dentro di te un briciolo di… chiamiamola diffidenza… può alimentare un “quel non so che”… vestito da quel giusto compromesso ed un corretto senso critico, nell’approcciarti ad un vino con maggiore professionalità. Senza peraltro farti trascinare emotivamente alla vista di una famosa etichetta, da quell’alone elitario che aleggia intorno al suo prestigio. Motivo in più se si parla di uno Champagne. Motivo in più, se si tratta del millesimo più controverso della storia vitivinicola recente. Già, proprio quella 2003 che tutti si ricorderanno fino a quando vivranno. Maya permettendo. E se provate a chiedere a contadini, produttori o enologi, cosa eliminerebbero (se potessero) dai loro calendari, ecco che sono pronto a scommettere che vi risponderebbero proprio indicandovi quel millesimo. Con percentuali che supererebbero anche il fatidico “5 maggio” negli annuari degli interisti. Eppure, esistono anche professionisti che di fronte ad un millesimo come questo si esaltano e si trovano pronti a raccogliere una sfida, con la precisa volontà di trasformarla in successo. E nel caso di un enologo della Champagne, significa avere ancora in mente i grandi fasti di un’annata come la 2002. Il che non è poco…
L’«eroe» del giorno, nel nostro caso, si chiama Richard Geoffroy, dal 1990 chef de cave della Dom Pérignon. Un nome, un’azienda, un brand, che è tutto un programma. Un nome molto “glamour” se vogliamo… Uno champagne per VIP dicono… ma anche la classica “bolla” che, se viene proposta anche ad un pubblico appassionato o di addetti ai lavori, è capace di farti mettere in macchina e di farti fare anche centinaia di chilometri pur di andarlo a bere.
E questo ne è il classico risultato…
Ok, diciamo pure che l’abbiamo messa un po’ sul “vanaglorioso”, poiché l’élite della ristorazione e della critica eno-gastronomica si trovava a Milano per altri motivi, visto che andava di scena il congresso di Identità Golose. Ma all’ora stabilita, al dolce suono del cantare del gallo e puntuali come orologi svizzeri, ecco che sono accorsi tutti in massa allo stand di Dom Pérignon.
Si notavano negli sguardi, nelle parole, nei gesti di produttori, giornalisti, ristoratori, sommeliers e blogger presenti a questo evento, che tutti erano armati della medesima curiosità. Assetati di quell’identico interesse per vedere, annusare e assaporare quel prezioso nettare racchiuso nelle bottiglie decorate dal famoso scudetto color verde oliva.
In prima fila c’è sempre lui, il diretùr delle Guide de L’espresso, Enzo Vizzari
Il top della sommellerie milanese rappresentata da Ilaria Santomanco ed il delegato Hosam Eldin Abou Eleyuon, comunemente chiamato Hosam.
Seduto a fianco di quel “tipo” con il maglione bianco, 🙂 Massimo Zanichelli, giornalista e uno dei curatori della Guida dei vini de L’Espresso. In piedi il sommelier Federico Graziani e Aimo Moroni, reduce da una recente festa in suo onore, insieme alla moglie Nadia, dei 50 anni di attività proprio la sera prima.
Ma ecco il vero protagonista dell’evento: lo chef de cave Richard Geoffroy
Nato a Vertus nel 1954 da una famiglia viticoltori della Côte des Blancs, da giovane non volle che il vino diventasse il principale interprete della sua vita professionale. Infatti si iscrisse alla facoltà di Medicina, dove si laureò nel 1982. Ma come spesso accade nelle storie di questi personaggi, le scelte fatte da ragazzi vengono poi abbandonate per dare spazio a una vocazione più intima e viscerale. Ricordatevi che il vino, dipinto in questo caso come una sorta di entità spirituale, è subdolo, sleale ed è sempre lì dietro all’angolo ad attendervi, pronti ad impossessarvi di voi appena gliene date occasione. Il nostro Richard, ritornò infatti sui propri passi e cedette alla volontà di Dio Bacco. Si iscrisse all’École Nationale d’énologie di Reims e terminati gli studi prese la valigia e si diresse a fare esperienza in Napa Valley, in California. In breve tempo divenne consigliere tecnico del Domaine Chandon, ma nel 1990 venne richiamato in patria nel 1990, dove divenne presto chef de cave di una delle cantine più prestigiose del mondo. Il suo naso ed il suo palato, furono messi a libro paga della Dom Pérignon. “Mica cotiche”…
La serietà e la professionalità di Monsieur Geoffroy, si notano in ogni gesto. Anche l’abbozzo di un sorriso appare come una sorta di certificazione, un timbro, un’autorevolezza, a suggello di una battuta che appare ironica al primo momento, ma che racchiude sempre un fondo di verità.
Potete quindi comprendere come essere lì, di fronte a lui, a contemplare con quale compostezza e responsabilità assaggiava ogni singola bottiglia, fosse un privilegio che da solo poteva ripagare del viaggio.
Ma tutto è pronto per dare il via alle “danze”…
Dom Pérignon 2003 – 18,5/20
Mi sembra di vederlo, quando Geoffroy ci racconta di essere rientrato in tutta fretta dalle sue ferie estive, perché l’uva esigeva di essere raccolta. Il classico punto di non ritorno. Bisognava agire. Subito. Anche se là fuori, i grappoli erano esposti sotto il sole dell’estate più torrida. Da 53 anni non se ne vedeva una così. Richiamò all’opera anche tutti i suoi collaboratori, poiché la macchina Dom Pérignon andava messa in moto e tutti sappiamo che questa non ammette sbagli. Quando viene presa una decisione, quando si decide di andare in produzione, significa che da lì in poi il tutto va fatto nel maggior rispetto del consumatore finale. Poco importa se finisce nelle mani della cantante Pop Yankee, oppure in quelle del magnate russo. Il rispetto, il rigore, la meticolosità, sono alla base del suo stile. Il resto è tutta opera della bacchetta magica del suo creatore, che ha tirato fuori il classico coniglio dal cilindro. Uno Champagne sensazionale, incredibile, strepitoso. Gli aggettivi si sprecherebbero, ma in una sola parola direi… unico. I maligni saranno pronti a dire “Certo… Però quel 2002 è un’altra roba…”, ma la bellezza del vino va cercata anche nella singolarità e nelle caratteristiche di ogni millesimo. Monfortino, permettetemi l’estremizzazione, non è sempre come quel ’99.
Tornando a noi, credo che la sintesi di tutto il lavoro fatto alle spalle di questo prodotto, sia da ricercare nel suo colore. Un giallo camomilla brillante, capace di coniugare nelle sue sfumature, la vista di una carambola matura, ma anche quelle “aspre” e “graffianti” di un limone acerbo con i suoi riflessi verdolini. La carbonica si libera esuberante, euforica, energica, ma sempre in maniera elegante e garbata. La compattezza aromatica esprime intensità e complessità sulle medesime lunghezze. Un frutto che ruota intorno alla farinosità di una bellissima pera Kaiser, con quel suo lato un po’ ferroso che nel Dompi si esprime sotto le sembianze della mineralità. In bocca, l’armonia tra le note lievitate, lo spessore della materia, la verticalità dell’acidità è da 110 e lode, mentre l’articolazione spinta sulla scia della sapidità, è da urlo. Durerà? Non durerà? Credo che la storia di questo prodotto ci abbia insegnato molto. O almeno quanto basti per rispondere in tutta serenità. E tra un po’ ne avremo un esempio.
La giornata prevedeva anche un secondo tempo. Nel pomeriggio la sala ha accolto professionisti del settore provenienti da tutta Italia per una degustazione tecnica, dove, a fianco del fatidico Dom Pérignon 2003, furono proposte due altre “chicche”.
Dom Pérignon Œnothèque 1990 – 19/20
C’è voluto un attimo per prendere confidenza con lui. Troppo tempo siamo rimasti a giocare con una bottiglia che si è rilevata “fallata”, con quella bottiglia che non raccontava la sua vera identità e dove i nostri stimoli si rifiutavano di entrare nella giusta sintonia. Ma dopo… ecco arrivare l’illuminazione. Quella luce in fondo al tunnel, pronta a far brillare la nostra via. Grazie al secondo giro abbiamo finalmente potuto divertirci. Ed emozionarci. Ho messo da parte il taccuino su cui prendevo appunti, e così pure quella penna, da dove non si riusciva maledettamente a tirare fuori, sotto forma di inchiostro, nulla che fosse la giusta traduzione di quello che i nostri sensi provavano. Come spesso accade in questi casi, ci si trova a dover cancellare più volte un numero, un simbolo, un’icona, messa per dare una sorta di valutazione a quel vino che stai assaggiando. Ma quando ti accorgi che nessuno di quelli che hai scarabocchiato era adatto per esprimere un tale valore, forse è il caso di lasciare perdere e ragionare poi a bocce ferme. Certo la valutazione di diciannoveventesimi, può essere vista troppo alta o bassa. Vedetela come volete, nessuna darebbe il giusto onore. Molto meglio dare spazio alle suggestioni che un tale tesoro riesce a raccontare, una confezione paragonabile ad un bellissimo carrillon, che all’apertura la soave bollicina metaforicamente si trasforma in musichetta. Il mondo dello Champagne è bello perché immagini il grande lavoro che c’è in partenza, la meticolosità dell’operato di uno chef de cave, nel creare una cuvée partendo da dei vini che potremmo definire acidi, disarmonici, poco espressivi, ma che poi magicamente sarà pronta a sfidare il tempo, gli anni, i decenni. E oggi possiamo dire che l’armonia è stata raggiunta. O quasi. Già perché la vita è ancora lunga. Da un lato abbiamo una maturità del frutto divenuta sotto forma di confettura, con quel suo lato un po’ esotico, che ti fa pensare ad un grande cocktail di frutta tropicale da degustare su una spiaggia ai Caraibi, e nel contempo anche un po’ erotico per quel suo modo di fare seducente, intrigante, affascinante da scoprire poco alla volta. Il palato è stimolato da un’acidità vibrante, elettrica e provocante. Pronta a trascinarti in maniera adulatrice, fino in fondo al suo lungo percorso, per poi abbandonarti su due piedi lasciandoti nella mente il suo bellissimo ricordo e con una voglia voluttuosa e ribelle.
Quella di tornare a sorseggiarne ancora un po’.
Dom Pérignon Œnothèque 1976 – 19+/20
Eccoci… avevamo lasciato in sospeso il discorso durata temporale, associato a millesimi “caldi”. Infatti, quella di proporre la sua etichetta nera targata ’76, è stata una provocazione lanciata da Monsieur Richard Geoffroy. A detta sua, il millesimo in questione, ha molte cose in comune con la 2003. Almeno per la regione della Champagne. Chiariamo un concetto non espresso in precedenza. Geoffroy ci ha confidato che non vi è nulla di diverso nella lavorazione di un Dom Pérignon Œnothèque, da quello vestito con l’etichetta verde più classica. L’unica differenza, sta solo nella durata dell’invecchiamento sui lieviti. Più prolungata per quelle per cui si sceglierà l’abito nero. Tuttavia, si può assistere a dei periodi di sboccature diverse, quindi è “facile” trovare, all’interno dello stesso millesimo, Œnothèques con periodo di maturazioni diversi. Con tutte le caratteristiche che ne conseguono.
Ma veniamo a questo splendido esemplare. Le bollicine sono fini, minute, tali da apparire come un optional. Anzi, se non ci fossero, lo scambieresti quasi per un grande Meursault, per via di quella nota speziata e di beurre noisette. Un vino maturo ma di grande vitalità, capace di esprimere con il solito garbo, la sua compiutezza, senza perdere l’energia degli anni migliori. Il palato esprime sostanza, praticità, bellezza esteriore e tanti emozioni. L’acidità, la sapidità, la mineralità, sono uniche nel suo genere. E se per caso doveste incrociarlo per la vostra strada, mostrategli tutta la vostra stima ed il vostro rispetto. Per favore, non ditegli che è un vino “vecchio”, si potrebbe offendere e farvela pagare, poiché è grande la sua capacità di entrare in sintonia con chi gli vorrà bene. Sarà pronto di portarvi a braccetto sul filo delle emozioni. E dimostrare al mondo che avrà ancora molto da dire.
E da scrivere…
Dom Pérignon – Moët et Chandon
20, Avenue de Champagne
51200 Epernay
Tel: 03 26 512000
Fax: 03 26 548423
Sito Web: www.domperignon.com
Si ringrazia inoltreŒ:
-Viviana Sabatino – Pr Senior Account
AE Comunicazione d’Impresa – Gruppo Aegis Media
C.so Europa, 13
20122 Milano
Tel: +39 02 76 092.1
Fax: +39 02 77 69 65 91
-Alessandro Castiglioni – photographer