Il Trentino, ed in particolare questi luoghi, rappresentano nell’immaginario abbastanza comune dell’eno-appassionato, una sorta di paradiso terrestre. Forse perchè vivono in un contesto per certi versi elitario. In molti lo giudicano come una sorta di regione di “transito” tra il Veneto e l’Alto-Adige. Infatti, non crediamo che Faedo sia un paese tra i più cliccati sui nostri navigatori. Eppure è una regione che invece avrebbe, dal punto di vista enologico, tanto da dire. Già, perchè uno dei presupposti che possono essere motivo per gli eno-centrici di raggiungere questa splendida regione è quella di visitare la cantina Pojer & Sandri, condotta magistralmente da due autentici vulcani della natura che sono appunto Mario Pojer e Fiorentino Sandri.
Due anime diverse e profondamente complementari fra loro. Un sodalizio che dura dal 1975, prima annata di un vino ottenuto con uve di Müller Thurgau, prese da una vigna che Fiorentino aveva ereditato e consegnate nelle mani “magiche” di un giovane appena uscito dalla facoltà di enologia della scuola di San Michele all’Adige, chiamato appunto: Mario Pojer. Vi capiterà anche a voi, girando tra manifestazioni, eventi, fiere ecc. che è molto più facile incontrare e fare la conoscenza di Fiorentino, valido promoter e P.R. della propria azienda. Mentre Mario rappresenta in sintesi, il “motore” dell’azienda. Quindi, per riuscire a passare qualche ora con lui, esiste solo un modo. Dovete prendere la vostra auto, uscire al casello di San Michele all’Adige e inerpicarsi sulle strade tortuose che raggiungono questo ameno paesino, collocato tra la Valle dell’Adige e la Val di Cembra. Al termine della vostra visita, avrete un solo rimpianto: quello di non avere fatto la sua conoscenza prima. Questo perchè, senza nulla togliere alla bravura ed alla simpatia di Fiorentino, passare alcune ore in compagnia di Mario è qualcosa di unico. Vi trasporterà con una passione e professionalità incomparabile, nel racconto delle caratteristiche qualitative dell’azienda.
Sappiamo tutti che le prime caratteristiche qualitative dei vini di un’azienda, devono giungere prima di tutto dal vigneto. Questa piccola area è una delle migliori del Trentino, per il fatto di trovarsi di fronte l’apertura dolomitica della Val di Non, la quale consente a questi vigneti di beneficiare di un soleggiamento maggiore e quindi con un rapporto ore-luce più elevato. Creando dei pressupposti ottimali sulla maturazione dell’uva, tra i più alti di questa regione. Il successo commerciale di quel Müller Thurgau targato 1975, è stato un po’ da apripista e da compagno di viaggio della crescita commerciale di questa azienda. Ma Pojer & Sandri non è solo sinonimo di questo vitigno. Produzione che raggiunge le 300.000 bottiglie e che comprende una varietà ampia fatta da vitigni autotoctoni e alloctoni, bianchi e rossi, spumanti, grappe, distillati e ora anche aceti.
Ma la cosa singolare che ha reso questa cantina, una sorta di La Mecca per il pellegrinaggio di molti enoappassionati, è da ricercare nell’utilizzo di alcune tecnologie di vinificazione, adottate attraverso anni di studio di Mario Pojer con la conculenza di alcuni validi esperti del settore e da taluni costruttori che hanno reso possibile la realizzazione di queste macchine e che hanno permesso a Mario e Fiorentino, di raggiungere il loro sogno. Ovvero quello di arrivare alla purezza ed una pulizia estrema dei vini, combattendo le ossidazioni “naturali” che si formano invece, attraverso la vinificazione tradizionale. Non aspettatevi però di vedere una cantina al limite della perfezione per quanto riguarda l’estetica e la tecnologia di cantina. Ma di una cantina mantenuta a misura d’uomo. Anzi, di due uomini.
Il carattere di Mario Pojer, lo porta sempre alla continua sperimentazione. Non c’è vendemmia che passa, che Mario non sperimenti o escogiti qualcosa di nuovo o semplicemente…di diverso. Il “lo famo strano” è un po’ il leit-motiv che lo accompagna nella sua vita di enologo. Ricerche non solo su tecnologie, ma anche su vitigni ed ultimo (???) sullo studio delle varietà inter-specifiche.
Quello che sicuramente non deve far pensare il vedere un utilizzo così ostentato di tutte queste tecnologie, è chi si voglia stravolgere la naturalità dei vini o la sua riconducibilità territoriale. Anche se tutti questi elementi, il nostro Mario, li chiama con il nome di “diavolerie”.
Li chiameremo in questo modo anche noi, attraverso il racconto per immagini di queste cartoline, con la volontà di ritornarci presto, per un reportage più completo. Sia attraverso dei supporti video, ma anche grazie ad assaggi comparati di diversi stili di vinificazione. Dando anche “movimento” alle loro vecchie annate che giacciono nella fornitissima Cave du Patron. E per fare tutto questo…un solo giorno non basta!
Si parte…
“Diavoleria n°1.” – La cella frigorifera. Fin quì, niente di speciale. Le celle frigorifere non sono una loro invenzione e sono anche in molti ad usarle. Le uve, una volta vendemmiate, vengono trasportate e stoccate in questa cantina refrigerata. Contrariamente a quanto avviene in molte aziende, dove le uve vengono subito lavorate, da loro vengono lasciate invece riposare. L’obiettivo è quello di raffreddare la temperatura dell’acino, per favorire una maggiore estrazione aromatica e una più facile predisposizione ad essere “trattate” con le fasi di vinificazione tipiche di questa cantina. Il duplice vantaggio lo si raggiunge anche grazie al fatto che queste fasi di lavorazione, si possono effettuare la mattina seguente, con un guadagno su una condizione fisica migliore, da parte degli stessi lavoratori.
“Diavoleria n°2.” – La macchina lava uva. Mario ci racconta come essi siano stati i primi ad escogitare questo brevetto e che ora esistono solo tre esemplari al mondo. Il vantaggio di lavare l’uva prima della pigiatura o la pressatura, è quello di pulirla da tutti gli agenti chimici usati in vigna per il trattamento contro le malattie. La vasca raffigurata di seguito, ha la stessa funzione della vasca idromassaggio. In quella fase che Mario chiama di “borbottaggio”, i grappoli vengono trasportati dalle cassette usate per la raccolta, prelevate dalle celle frigorifere e le uve vengono letteralmente gettate intere in questa “piscina”. Le bolle svolgono un compito di massaggiare l’uva favorendo il distaccamento di questi elementi, ma anche l’eliminazione di tutti gli agenti considerati inquinanti contenuti nell’atmosfera, attraverso l’ausilio di una soluzione liquida, fatta da acqua e acido citrico. L’acido citrico, ci spiega Mario, è una sostanza naturale che funge da “sequestrante” dei metalli contenute sulla buccia dell’acino. Lo scopo è rappresentato quindi dalla volontà, che queste sostanze di sintesi non finiscano, nel prodotto finale. Sono elementi presenti comunque nei vini tradizionali in maniera limitata e non nociva, ma possono comunque condizionare a livello aromatico ed organolettico, i vini stessi.
Le fasi successive sono identiche a quelle di un’autolavaggio. Le uve vengono trasportate tramite un nastro, dove vengono ulteriormente lavate e “insaponate”, sempre con la medesima soluzione di acqua e acido citrico, passano poi sotto a dei getti di sola acqua, per essere lavate da tutte le impurità e favorendo anche l’asportazione dello stesso acido citrico usato in questa fase.
Il tragitto prosegue in seguito, su dei nastri vibranti che hanno la facoltà di compiere una prima asciugatura e terminare quest’ultima, tramite l’utilizzo di soffi di aria calda. L’uva è così pronta per passare alle fasi di vinificazione successive.
Mario puntualizza inoltre che con questa tecnica, viene purtroppo asportato anche il 50% dei lieviti indigeni presenti sulla buccia. Ma con questa tecnica, e favorendo dunque la totale pulizia dell’acino, il restante 50% dei lieviti, si trova in condizione di lavorare in un ambiente asettico e quindi liberi di svolgere il loro compito, permettendogli di compiere un processo fermentativo spontaneo ed escludere quindi l’utilizzo di lieviti selezionati.
“Diavoleria n° 3.” – La Mongolfiera. Questi due enormi sacchi sono collegati, attraverso dei tubi, alla pressa chiamata Inertys ed alle vasche di fermentazione. Vengono riempite annualmente con azoto e servono per creare una camera di decompressione e determinano così un’ambiente in completa assenza di ossigeno. Quando l’uva raggiunge la pressa e il mosto riempie le vasche di fermentazione, spingono fuori l’azoto gonfiando così le mongolfiere.
Un’enorme bombola, permette il perfetto controllo, affinchè queste fasi vengano svolte nei migliori dei modi.
Un vantaggio ulteriore, riconsociuto da questo tipo di lavorazione è di estrarre delle vinacce, con colorazioni verde Kiwi e quindi già allo sguardo appaiono in assenza di ossidazione. Le vinacce raggiungono un macchinario esterno (“Diavoleria n°4”) che permette la separazione delle vinacce dai vinaccioli, quest’ultimi responsabili si dice, in seguito alla fase di distillazione, della sensazione amarognola di molte grappe. Non solo, una parte di questi vinaccioli viene riutilizzata nuovamente l’anno successivo, nell’impiego e in aggiunta a quelli già esistenti, nella fermentazione dei vini rossi come agenti di fissaggio del colore. Le follature avvengono tramite l’ausilio di una pala che scorre su rotaie.
Mario ci mostra orgoglioso, il confronto tra due bottiglie contenenti lo stesso mosto ma lavorato diversamente. Uno con il sistema tradizionale e l’altro in un ambiente iper-ridotto.
Dicevamo quindi delle vinacce che arrivano nella distilleria adiacente alla cantina. Mario ci spiega come essi siano gli unici che hanno il vantaggio di distillare immediatamente le vinacce appena pressate, raggiungendo un grado di purezza anche nelle grappe.
Gli alambicchi sono del modello Zadra, con distillatori a bagnomaria che seguono molto da vicino il concetto di quelle usate nella zona di Cognac. Non solo vinacce dicevamo, ma anche frutta ed anche il famoso brandy. Chiamato “Divino” e che esce dalla cantina in seguito ad un invecchiamento di dieci anni. Questo affinamento è svolto nelle barriques che Alois Lageder, utilizza per il suo Chardonnay Löwengang. Questo Brandy si produce dal 1997 con la prima annata targata 1986.
Da Pojer & Sandri, la tecnica è mischiata alla tradizione…
Rientriamo in cantina e passiamo alla fase di degustazione con gli assaggi in anteprima dei primi risultati della vendemmia 2009. Ci capita di assaggiare accanto a Sauvignon, Müller Thurgau, Gewurztraminer, anche la sperimentazione di una nosiola macerata, fatta quindi fermentare a contatto con le bucce, in una vasca di acciaio, anche in questo caso pressurizzata con azoto e con all’interno una specie di “scolapasta” che tende a imprigionare le stesse bucce all’esterno di questo contenitore, ma sempre all’interno della vasca e limitando la supefice del vino a contatto con le bucce.
Ci vuole una certa dose di “coraggio” ed esperienza per riuscire a “valutare” i vini in questo momento, visto che sono fatte in condizioni apparentemente molto difficili, dove i vini bianchi sono torbidi, mentre i vini rossi sono in piena fase malolattica. Ma potrete tranquillamente notare, se vi capitasse di assaggiarli, che grazie a questa tecnica di vinificazione, i vini appaiono a livello organolettico, con sapidità più elevate e con sensazioni amarognole quasi azzerate, anche in questa fase.
Anche i rosati possono stupire…
Nella barricaia, abbiamo potuto testare come la qualità della vendemmia 2009, sia molto elevata soprattutto sui rossi. Con le uve di Lagrein e di Cabernet che hanno raggiunto delle maturazioni fenoliche perfette.
Non solo Cabernet e Lagrein, ma anche Zweigelt, Blaufränkisch, Negrara, Groppello ecc.. Sempre all’insegna del famoso “lo famo strano”…
Passiamo ora al reparto dove vengono effettuate le fermentazioni dei vini base degli spumanti. I vini fermentano a contatto con i propri lieviti, le cinghie servono per tenere bloccati i tappi dei fusti e periodicamente vengono girate per favorire la cessione aromatica dei lieviti nei vini.
Ma come? Quì niente di strano? Allora non vi racconto di quel Pinot Meunier fatto in Trentino…
“Diavoleria n°5.” – Le varietà interspecifiche. Da qualche anno, Mario e Fiorentino, stanno effettuando degli studi sulla lavorazione in Trentino di quelle varietà chiamate inter-specifiche (niente riferimenti Morattiani please…), ovvero vitigni creati tramite incroci di varietà di Vitis Vinifera con varietà americane. L’ottimale di queste varietà è che sono resistenti alle malattie crittogamiche e quindi non necessitano di trattamenti chimici in vigna. Non sono riconosciute, perchè oggi producono ancora dei livelli di acetale troppo elevati e quindi fuori dalle norme di legge e quindi non cercatele in commercio, visto che queste bottiglie sono solo oggetto di sperimentazioni. Noi l’abbiamo assaggiato ed è un vino bianco a tutti gli effetti a cui non è stato fatto niente. Zero trattamenti. Zero lavorazioni. Le uve sono state raccolte, pigiate e fatte fermentare spontaneamente. Ad un certo punto viene bloccata la fermentazione e messo in bottiglia, dove continua a fermentare e creare la carbonica, come un classico vino spumante, ottenuto con quel metodo chiamato ancestrale. Il risultato è quello di un vino torbido e potrebbe risultare sgradevole in un primo momento, ma se si riuscirebbe andare oltre ed ottenere dei vini che rientrano nei parametri di apprezzamento, allora si potrebbe avvicinare il più possibile a quel concetto chiamato: “terroir“.
Dicevamo appunto dei tesori che giacciono nella cave des patrons…
Sembrerebbe che da Pojer & Sandri si facciano delle sperimentazioni anche su dei nuovi calici di degustazione…
Ancora segni di fusione tra innovazione e tradizione…
Peccato, un magnum di Extra Brut come aperitivo prima di andare a cena, ci stava proprio bene…
Per cena raggiungiamo il Ristorante ‘900 all’interno dell’Hotel Rovereto, dove facciamo la conoscenza di un grande amico di Mario Pojer. Il titolare del ristorante Marco Zani è anche il proprietario di un’altra prestigiosa cantina del Trentino, ovvero quel Castel Noarna di Nogaredo.
L’occasione è ghiotta per assaggiare delle vecchie annate prelevate da questa cantina…
che hanno fatto da preludio ad uno spettacolare Rosso Faye ’90, portato personalmente da Mario. Vino che aveva uno splendido colore rosso rubino, che ha sfidato gli anni e che lo ha fatto apparire in forma strepitosa, quasi non avesse sentito il peso degli anni portati sulle spalle.
Un brindisi quindi ad una giornata indimenticabile, resa ancor più emozionante grazie alla complicità dell’amico Roberto Anesi e la collaborazione ovviamente di Mario Pojer e di Marco Zani. Con l’augurio di tornarci presto!
E non finisce quì…
Riferimenti e recapiti:
Pojer & Sandri -Vini e Distillati.
Via Molini, 4
38010 Faedo (TN)
Tel: +39 0461 650342
Fax: +39 0461 651100
Sito web: www.pojeresandri.it
Indirizzo di posta elettronica: info@pojeresandri.it
Articolo redatto da:
Ivano Antonini alias EnoCentrico
ivano.antonini@altissimoceto.it
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