Quale miglior modo per introdurre il racconto dei vini delle aziende toscane, se non quello di sentirne il suo simpatico accento attraverso le parole di uno dei grandi enologi italiani? Qui di seguito la prima parte della simpatica ed interessante intervista a Luca d’Attoma.
(chiedo scusa anticipatamente se le luci del video non sono tra le migliori…)
VIDEO VG-TV
Quarta puntata del racconto del Wine Festival di Merano, dopo Alto-Adige, Piemonte prima parte e seconda parte, arriva il momento della prima parte con le recensioni dei vini delle aziende toscane.
Apre il racconto la Fattoria La Massa, la tenuta di proprietà di Giampaolo Motta che si trova in una delle più belle posizioni di Panzano in Chianti. Diciamo subito che non condivido del tutto la sua scelta di togliere dalla DOCG del Chianti Classico dall’annata 2003, del suo vino di punta, ovvero il Giorgio Primo, modificando di non poco le percentuali dei vitigni. Alcuni sostengono che così si snatura l’identità del sangiovese, io mi limito solo a constatare che fino all’annata 2001, il sangiovese nelle percentuali da disciplinare DOCG, gli dava maggiore slancio di beva e maggior grinta.
Ma questo Lo vedremo nel dettaglio avendo avuto la fortuna di fare una mini-verticale di tre annate. Ma il primo vino che assaggiamo è il La Massa 2005 (16,5+/20) di buona fattura e con una bella trama tannica. Il Giorgio Primo 2005 (17/20) in questo momento si concede soltanto mostrando il suo spessore, il suo maggiore carattere rispetto alla versione 2004 e a quella del 2003, di difficile valutazione invece il suo profilo olfattivo. Non è difficile valutare quello invece del Giorgio Primo 2004 (16,5/20) che si mostra al naso con un frutto surmaturo, mentre in bocca troviamo un bello spessore, buona la trama tannica ma senza quel vigore che troviamo invece nel Giorgio Primo 2001 (18,5/20), caratterizzato, come dicevo, da una maggiore eleganza e con un tannino dolce in chiusura.
Cambiamo completamente il modo di interpretazione del vitigno sangiovese con l’azienda Fèlsina, guidata da Giuseppe Mazzocolin (in foto) e con la consulenza di Bernabei. Si trova a Castelnuovo Berardenga, un comune che da’ origine a vini solitamente più scarichi di colore, con toni più floreali e con un frutto meno carnoso rispetto ai pari vitigno di quelli provenienti dal cuore del Chianti Classico, perchè da Fèlsina siamo al confine con la zona dei Chianti dei Colli Senesi e il vigneto Fontalloro si trova proprio a cavallo delle due denominazioni.
Il Professor Mazzocolin è una persona di grande cultura, di origini venete e innamorato della Toscana, proprio a Fèlsina ha trovato il suo habitat, lo sentite nelle sue parole quando vi parla della tenuta e dei suoi vini. Ci ha presentato il Chianti Classico Berardenga 2005 (16,5/20), versione dotata di grande freschezza e linearità e come sempre ci ha abituato, un buon bicchiere che difficilmente delude. Mazzocolin è soddisfatto dei due cru in una splendida versione come quella del 2004, vini profondamente diversi ma accomunati dal loro timbro di grafite (e non perchè ci sia del cabernet…), minerale e con quella trama tannica vibrante. Da una parte abbiamo il Chianti Classico Riserva Rancia 2004 (18,5/20) con una vena più speziata rispetto al “fratellino” Fontalloro 2004 (18,5+/20), con un frutto più croccante e in questo momento, con un profilo olfattivo più espansivo. Ma esperienze passate dicono che per il Rancia è solo questione di tempo…
Altra azienda seguita da Bernabei è Fontodi, guidata dalla famiglia Manetti, imprenditori nel campo della terracotta ed instaurati a Fontodi in quel di Panzano in Chianti dal 1968.
Batteria di ampio respiro quella proposta da Giovanni Manetti (in foto con il sottoscritto) incominciando dal Chianti Classico 2005 (16,5+/20), in una delle migliori versioni e dotato di un tannino di maggiore grinta rispetto alle recenti annate. Il Chianti Classico Riserva Vigna del Sorbo 2004 (18,5/20) è tecnicamente ben fatto, la percentuale del 10% circa di cabernet incide sulla morbidezza e nel profilo olfattivo, rendendolo più carnoso, ma la coabitazione con il sangiovese è felice senza sovrastarlo nell’incisività. Il Flaccianello della Pieve 2004 (18,5+/20) è stranamente meno esuberante rispetto al Sorbo, dico stranamente perché nelle degustazioni orizzontali del passato succedeva esattamente sempre il contrario. Ma dalla sua ha il fatto di essere dotato di un tannino più minuto e più graffiante. Su un piano più in basso troviamo il Syrah Case Via 2004 (17,5/20), il vino è dotato di spessore, buona l’eleganza, ma presenta un frutto meno nitido e la freschezza in bocca manca di energia rispetto alla struttura.
Ci spostiamo a Radda in Chianti dove troviamo l’azienda di Martino Manetti ovvero la Montevertine. Il Sangiovese a Radda offre vini meno polposi rispetto a quelli prodotti nella Conca d’Oro di Panzano, dotati di una trama tannica di grande incisività e che li rendono meno “popolari” dal punto di vista dell’apprezzamento. Se a questo aggiungiamo lo stile aziendale, la somma da’ vini profondamente in linea a quella toscanità che tutti parlano ma che in pochi mettono in pratica. Chi si ricorda i Sangiovese prodotti verso la fine degli anni ’80? Ecco a Montevertine li si produce ancora come allora…
Il Pian del Ciampolo 2005 (16,5+/20)ci fa’ intuire che l’annata, questo per dire che non sempre quando si parla di una difficile annata come la 2005 per il sangiovese il risultato ne è conseguente, è ben riuscita a Montevertine e si potrebbe collocare per grinta sopra la 2004. Annata che comunque non delude né sul Montevertine 2004 (18/20) che si presenta con un frutto più polposo rispetto al Pergole Torte 2004 (18+/20) che dalla sua possiede invece un profilo olfattivo più aperto e con un carattere speziato più dolce e più articolato.
Ritorniamo ora a Panzano alla Tenuta Vecchie Terre di Montefili, condotta dal grande Roccaldo Aculti. I suoi vini sono sempre di alto livello, di grande coerenza, senza sbavature anche se i top selection, quest’anno mi sono sembrati leggermente sottotono nella versione 2004. Dico leggermente in quanto li ho trovati un filo più evoluti e meno croccanti nel frutto rispetto alle versioni precedenti.
Infatti assaggiando il Chianti Classico 2005 (17/20) la musica cambia a livello aromatico con una bella eleganza e fine in chiusura, una versione molto bella del Sangiovese che è anche l’unico attore dell’Anfiteatro 2004 (17,5/20), il vino è molto buono ma rispetto alla 2003 (anch’esso assaggiato), preferisco la grinta di quest’ultima. Discorso un filo diverso per Il Bruno di Rocca 2004 (17,5+/20), ottenuto da 60% Cabernet Sauvignon e 40% Sangiovese che risulta più energico rispetto all’Anfiteatro.
Storia recente quella dell’azienda di Tolaini nata soltanto nel 1988. Qual’è la ricetta per fare dei grandi vini? Ci vuole prima di tutto un grande territorio, e quello di Castelnuovo Berardenga lo è. Ci vogliono i soldi per fare una cantina, e anche questi ci sono, ottenuti da patron Tolaini ( a sinistra nella foto dal loro sito) dal suo prestigio che ha maturato nel tempo nel campo degli autotrasporti in Canada. Ci vuole un grande enologo, e per questo è stato preso Michel Rolland (a destra nella foto). Infine l’esperienza. Per questo ci vorrà tempo, anche per vincere la diffidenza di chi vedeva la figura di Rolland in Toscana, ma per il momento siamo sulla buona strada. Sono due validi esempi il Due Santi 2004 (17,5/20) a prevalenza di Cabernet Sauvignon, vino di ottima fattura, di buona trama che ha nell’eleganza il suo punto di forza. Tutt’altro vino il Picconero 2004 (18,5+/20) a prevalenza di uve merlot, vitigno che sembra avere un certo feeling con Rolland, c’è l’intenzione di far diventare questo vino il prodotto aziendale di punta. Presenta già da subito un grande spessore, buona la trama tannica con un tannino vivace, mentre il profilo olfattivo ha un bel frutto maturo, il legno non è supponente, cè una bella componente balsamica e una buona mineralità anche se è comunque alla ricerca di una sua linea e di un suo equilibrio. Da conservare…
Ci spostiamo in tutt’altra zona, siamo nell’aretino. In una bellissima tenuta che è la Fattoria Petrolo. Ho dei ricordi bellissimi sui vini di questa azienda negli anni pre 1997, per poi suscitare in me qualche perplessità per via del profilo olfattivo un po’ evoluto per il sangiovese del Torrione ed uno stile troppo “concentrato” del merlot del Galatrona. Tuttavia devo ammettere la mia positiva impressione sui 2005 portati a Merano, anche se difficili nel giudicarli definitivamente per via della sua precoce esuberanza. Il Torrione 2005 (18,5/20) stupisce per l’annata che mi aspettavo decisamente inferiore rispetto alla 2004 ma tant’è che il vino ha meno spessore ma è tornato sui binari del classico sangiovese, definizione di frutto, speziatura dolce di tabacco, acidità e tannino vibrante. Bella versione anche quella del Galatrona 2005 (18,5/20), un merlot in purezza molto meno sui canoni della concentrazione e sulla vena cioccolatosa e vanigliata data dal legno degli anni passati, con uno spirito più marcato. Consiglio nel caso lo aveste preso, di dimenticarlo in cantina…
Belle anche le prove dei top selection, versione 2003 dell’azienda Capannelle, di proprietà della famiglia Sherwood, che ha la “forza” di proporre i vini con più maturazione/maturità e a Merano di servirli nei decanter, per il suo cambiamento repentino e imprevedibile a contatto con l’aria.
Ecco quindi un Chianti Classico Riserva 2003 (18/20) in splendida forma, dove le uve “migliorative” per il sangiovese ( 😀 ) sono il colorino ed il canaiolo, buona la definizione e la nitidezza aromatica, con una vena speziata abbastanza marcata, mentre il Solare 2003 (18,5+/20) si presenta con maggior vigore, un frutto più polposo e meno speziato e con una trama tannica in evidenza, ma senza essere troppo agressiva.
Sono solo due i vini Marchesi Antinori assaggiati. Da una parte abbiamo il Cortona Syrah Bramasole 2004 (17,5/20), prodotto nella tenuta La Braccesca in quel di Montepulciano. Il risultato è la migliore versione fin qui prodotta, per via del suo profilo olfattivo nitido e la sua articolazione gustativa. Il secondo vino viene dalla loro tenuta di Bolgheri ed è un felice ritorno, dopo la parentesi non prodotta del 2002 (ma che in compenso ci ha riservato un bel Bruciato 2002…), con il Guado al Tasso 2003 (18,5/20) con dei progressi sul piano dello spessore e dell’eleganza e che sono sotto il naso di tutti con il passare delle annate, anche se personalmente preferei sempre trovare maggiore incisività, cosa che il Bolgherese può regalare e maggiore equilibrio sull’asse frutto-legno che, anche in questa versione, è decisamente in favore del secondo.
Vi aspetto per la prossima puntata con la seconda parte del racconto e dell’intervista con Luca d’Attoma che ci parlerà di vitigni e novità dell’annata. Stay Tuned!
Ivano Antonini alias EnoCentrico